Due operai intenti ad assemblare una vettura, un terzo sopraggiunge, corpulento e debordante in una canottiera consunta, estrae un fazzoletto dalla tasca, ci sputa sopra e va a pulire, si fa per dire, un montante della carrozzeria.
Scenette come questa, che molti telespettatori italiani avranno visto tra le immagini di repertorio dei servizi televisivi dedicati all’alleanza Fiat-Chrysler, sono destinate a sparire. Negli stabilimenti della Casa americana sta per arrivare lo stile Fiat: niente sprechi, organizzazione rigida e probabilmente uniformi per tutti gli operai, come a Melfi e a Cassino. La riorganizzazione produttiva è una delle prime azioni a cui il nuovo management si sta dedicando.
La Chrysler Group Llc, ragione sociale della Chrysler uscita dalla procedura di bancarotta controllata, è nata il 10 giugno. A quasi tre mesi di distanza che cosa è stato fatto? Come sta impiegando Sergio Marchionne i primi cento giorni alla guida della Chrysler? Viene tanto più da chiederselo quanto più il profilo comunicativo scelto dai vertici è basso: ridotte all’osso le dichiarazioni ai giornali, molta la discrezione. Pochi annunci, tanto lavoro. E buona parte di questo lavoro è per ora dedicato alla organizzazione interna.
La fotocopia di Mirafiori
Tanto per cominciare sono stati sfoltiti i livelli manageriali, da otto a cinque. La struttura organizzativa – più snella e, si presuppone, più veloce nelle decisioni – è la copia carbone di quella di Mirafiori, con ciascun marchio del gruppo – Chrysler, Dodge, Jeep e Mopar (parti di ricambio) – responsabile del proprio conto economico. Peter Fong guida Chrysler, Michael Mainley è a capo di Jeep, Michael Accavitti di Dodge e, infine, l’italiano Pietro Gorlier è il numero uno di Mopar. Un dato che è piaciuto agli americani: non c’è stata la temuta invasione degli italiani. Ai tempi dell’alleanza con Daimler il numero dei tedeschi in azienda, inclusi i “pendolari” che tornavano a Stoccarda nel weekend, era vicino alle duecento persone.
Lo stile Marchionne
Ma è il clima che è cambiato: lo stile Marchionne, diretto e concreto, ha impressionato favorevolmente i dipendenti sin dal discorso inaugurale del 10 giugno (prima foto). “Nel business e nella vita non succede sempre che ti venga data una seconda possibilità”, ha detto il manager italo-canadese, sottintendendo che questa la si deve cogliere. Il megaufficio al 15° piano della sede Chrysler a Auburn Hills (seconda foto) è rimasto chiuso a chiave. Marchionne si è sistemato in un ufficio più modesto, ai piani bassi, vicino ai collaboratori diretti, questione di stile e pure di sostanza, così si velocizzano anche i processi decisionali. Mossa, ovviamente, apprezzata dai quadri.
La dura legge di Torino
Qualche preoccupazione in più serpeggia tra gli operai. “Lo spreco è immorale”, ha detto Marchionne. E adesso i lavoratori temono che si razionalizzino anche i movimenti che devono compiere. O l’acqua che si consuma: “Possiamo tenere soltanto una bottiglia d’acqua alla nostra stazione di lavoro”, ha dichiarato un operaio canadese al quotidiano “Detroit News”. La disciplina che regola i ritardi non comunicati per tempo o le assenze ingiustificate dal lavoro è molto più rigida: dopo sette passi falsi, sei fuori. Ma ci sono aspetti positivi, che premiano la responsabilità individuale: gli operai sono stati riorganizzati in team di dieci persone (prima erano più ristretti), il numero di supervisori è stato ridotto e i team leader si sono guadagnati più responsabilità. Quanto alle divise, per ora la decisione è rinviata, anche per motivi di costi. “Le uniformi? Vedremo. Quel che conta adesso è la sostanza, l’organizzazione produttiva secondo i principi del World class manufacturing che è implementato in tutte le realtà produttive della Fiat, anche non automobilistiche, e che richiama da vicino il metodo Toyota”, ha detto a “Quattroruote” Gualberto Ranieri, capo ufficio stampa del gruppo Chrysler.
Fix it again Tony? Dimenticato
In effetti a leggere i servizi dei quotidiani locali, che hanno il polso diretto della situazione attraverso i contatti con i lavoratori, sembra che la Chrysler sia stata comprata non dalla Fiat bensì proprio dalla Toyota. “L’obiettivo al momento è fare tutto meglio”, scrive il “Detroit News”, e aggiunge. “I margini d’errore tollerati si sono fatti più risicati e più alta è la precisione richiesta in ogni operazione. Le tolleranze nell’assemblaggio sono ridotte rispetto agli standard precedenti di Chrysler. E se un problema emerge durante la lavorazione, va risolto immediatamente, anche fermando la linea se necessario. Il vecchio sistema in Chrysler prevedeva di terminare l’assemblaggio e solo in un secondo tempo mettere da parte l’esemplare difettoso e aggiustarlo”. Insomma, fa un certo effetto sentir parlare della Casa italiana in questi termini, specie in un Paese dove fino a una ventina d’anni fa l’acronimo Fiat veniva ironicamente svolto come Fix it again Tony (aggiustala di nuovo Tony). Ma da quando la Fiat lasciò gli Usa per problemi di qualità e di ruggine sulle carrozzerie è passata tanta acqua sotto i ponti.
Alfa Suv su Jeep
Il piano prodotti è, naturalmente, un altro capitolo su cui il management della nuova Chrysler è al lavoro. Ma è anche quello sul quale il riserbo è totale. Pochi i fatti finora confermati ufficialmente. Uno, la Chrysler PT Cruiser (di cui lo scorso anno sono state vendute circa 50 mila unità) sopravviverà: Marchionne ha cancellato la decisione di cessarne la produzione, che al contrario andrà avanti fino al 2011. Due, anche la Viper, supercar iconografica, è stata risparmiata dalla scure. Tre, il pick-up Dodge Ram a gasolio, atteso l’anno prossimo, sarà cassato. Per il resto si fanno speculazioni. Le più plausibili, che furono anticipate da “Quattroruote” nel numero di giugno, riguardano l’impiego del pianale C Evo, cioè un’evoluzione della meccanica della Fiat Bravo, per i modelli eredi della Dodge Caliber e della Jeep Compass, mentre la futura Grand Cherokee (con sospensioni a ruote indipendenti) fornirebbe la base per la famosa, sognata, inseguita e mai realizzata Sport utility Alfa Romeo (nella nostra ricostruzione – terza e ultima immagine – insieme alla Jeep Grand Cherokee), da commercializzare anche sul mercato Nordamericano. E in Nordamerica, oltre alla 500, che farà marchio a sé come la Mini, sbarcherà probabilmente anche la Panda, da vendere come la più piccola delle Jeep.
Fonte: Quattroruote.it