Le organizzazioni Faib Confesercenti, Fegica Cisl e Anisa Confcommercio hanno ufficializzato lo stato di agitazioni che assicurerà lo stato di sciopero dei benzinai nella rete autostradale italiana nel mese di luglio.
La protesta porterà alla chiusura dei distributori in servizio su autostrade, tangenziali e raccordi dalle ore 22 del 16 luglio alle ore 6 del 19 luglio.
Saranno poco più di due giorni che porteranno a dei notevoli disagi per tutti gli automobilisti, soprattutto considerato il periodo di partenze per le zone di vacanza in cui lo sciopero sarà in vigore.
Le ragioni dei benzinai sono evidenziate in una nota congiunta diffusa dalle associazioni che rappresentano la categoria, le quali spiegano: “Società autostradali e compagnie petrolifere, con il silenzio complice del ministero dello Sviluppo, si litigano il ‘bottino’ dei carburanti in autostrada, mentre gestori vengono espulsi e i consumatori pagano la benzina più cara d’Europa”.
La categoria sottolinea il mancato rispetto degli impegni presi a luglio dell’anno passato dal Ministero dello Sviluppo Economico, dando continuità ad una situazione che vede favoriti i concessionari delle tratte autostradali.
La nota ufficiale rivela che: “I concessionari delle tratte autostradali, chi più chi meno, continuano a percepire dalla vendita dei carburanti una cospicua rendita che in soli dieci anni, dal 2003 ad oggi, ha subito un incremento fuori da ogni logica di mercato e di ragionevolezza”.
Ad essere contestate sono in particolare le royalty pretese su ogni litro di benzina, le quali sono passate, secondo i benzinai: “Dai circa 13 euro per mille litri agli attuali 98 medi, come a dire un incremento addirittura del 764%. Dal canto loro le compagnie petrolifere insistono nell’imporre ai gestori degli impianti autostradali ed agli automobilisti i prezzi dei carburanti più alti d’Europa. Le une e le altre d’accordo nello scaricare sul Paese anche le conseguenze del fallimento procurato ed imposto alle 400 imprese di gestione ed i relativi costi sociali derivanti dalla perdita del lavoro di oltre 5.000 addetti attualmente impiegati, senza che il Ministero dello Sviluppo Economico trovi né la forza né il coraggio sufficiente per intervenire”.